Gianni Di Venanzo

L’abruzzese che inventò la luce

18

DICEMBRE 2022

Gianni Di Venanzo
Direttore della fotografia
102° anniversario

Direttore della fotografia di Michelangelo Antonioni, Federico Fellini, Francesco Rosi, Carlo Lizzani ed Elio Petri. Innovatore della fotografia in bianco e nero e vincitore di 5 Nastri d’Argento alla fotografia. Autore della fotografia di capolavori che hanno reso la cinematografia italiana una delle più importanti del mondo negli anni ‘60, come: I soliti ignoti di Mario Monicelli, Il grido, La notte e L’Eclisse di Michelangelo Antonioni e di Federico Fellini. Tutto questo, per provare a fare una ignobile e sbrigativa summa di una vita intera, è Gianni Di Venanzo.

Teramano d’origine, uno tra i più grandi direttori della fotografia; purtroppo scomparso giovanissimo all’età di 46 anni e oggi quasi dimenticato se non per gli addetti ai lavori. Stiamo parlando di un genio, di un Maestro del cinema italiano le cui influenze sono visibili ancora oggi nelle pellicole dei più grandi autori del cinema mondiale; un abruzzese dimenticato dalla storia e di cui oggi, alla vigilia del 102° anniversario della nascita, vogliamo parlare.

Gianni Di Venanzo era allora il più grande direttore della fotografia italiano e quindi uno dei più grandi del mondo. La fotografia dei Basilischi è molto importante, è gran parte del film. Era tutto molto avventuroso.

Lina Wertmüller su Gianni Di Venanzo, direttore della fotografia del film I basilischi (1963)

Un frame tratto da di Federico Fellini

Un frame tratto da Pulp Fiction di Quentin Tarantino

Feliciano (detto Gianni) Di Venanzo nasce a Teramo il 18 dicembre del 1920 da Domenico Di Venanzo e Luigina Trinietti. Appassionato fin da giovanissimo di cinema, aspetta di compiere i diciotto anni per poi trasferirsi a Roma ed iscriversi al Centro sperimentale di cinematografia, dove si diploma nel 1940. 

Diviene subito aiuto-operatore e si forma sul campo in un periodo di profondo mutamento politico e di trasformazione delle tecniche e del gusto estetico della ripresa. 

Poco dopo l’inizio della sua carriera come aiuto-operatore viene richiamato alle armi, ma riesce comunque ad esercitare la sua professione essendo assegnato al reparto cinematografico dell’esercito. 

In questo periodo riesce a collaborare alle riprese di Ossessione di Luchino Visconti nel 1943 e dopo la liberazione di Roma prende parte a due film di Roberto Rossellini: Roma città aperta nel 1945 e Paisà nel 1946. 

A seguito di questo periodo di formazione artistica e tecnica, che oggi sappiamo coincidere con la nascita del Neorealismo italiano e quindi lo zenit dell’innovazione stilistica e narrativa del tempo, Gianni Di Venanzo viene promosso ad operatore di macchina e accompagna il fotografo Aldo Graziati, allora direttore della fotografia, nell’avventura siciliana di Visconti: La terra trema del 1948. Successivamente, sempre con Aldo come direttore della fotografia partecipa alle riprese del film Miracolo a Milano di Vittorio De Sica nel 1951. 


Nel 1951 Carlo Lizzani, dopo aver assistito ad una proiezione di La terra trema di Visconti, decide di ingaggiare Gianni Di Venanzo e di promuoverlo a Direttore della fotografia nel suo film sulla resistenza partigiana Achtung Banditi! finanziato da sottoscrizioni da 500 lire da parte di una cooperativa di operai genovesi.

il deserto dei tartari

Frame tratto dal film Achtung Banditi! di Carlo Lizzani (1951) 

A seguito di questa pellicola, Lizzani lo vuole nuovamente come responsabile della fotografia del suo film Ai margini della metropoli (1952) e in seguito nuovamente per un film ad episodi del 1953 che rappresenterà la vera svolta nella carriera di Di Venanzo: Amore in città; un film co-diretto da Carlo Lizzani, Alberto Lattuada, Michelangelo Antonioni e Federico Fellini. È qui che Gianni Di Venanzo conosce i registi con cui collaborerà nei successivi dieci anni della sua breve ma intensissima carriera.

Nel 1954 collabora nuovamente con Carlo Lizzani in Cronache di povere amanti, mentre nel 1955 lavora per la prima volta con Michelangelo Antonioni nel film Le amiche. Dopo questa esperienza viene presentato a Francesco (detto Citto) Maselli, assistente alla regia di Antonioni intento ad esordire alla regia di un proprio lungometraggio. Così sempre in quell’anno gira con Maselli Gli sbandati, un altro incredibile film sulla resistenza partigiana.

Di Venanzo era un genio, e questa era la base. Non leggeva il copione di un film. Arrivava e diceva: “Senti, ero stanco, ieri sera, e non ce l’ho fatta a leggere”. […] In qualunque film, in ogni nuovo ambiente, in ogni nuova scena, era come se ripartisse da zero, rifiutando ogni tipo di canone e di schema precostituito. E questa era la sua caratteristica fondamentale.

Oltre a questo aveva un carattere d’inferno, come tutti sanno, perché certamente aveva una sua vicenda professionale abbastanza complessa, come succede a tutta una stirpe di operatori italiani di origini estremamente umili, estremamente povere, senza una cultura minima che consentisse di avvicinarsi alle cose che volevano fare in un modo strumentato e una qualche rabbiosità più che naturale e comprensibile, per via di un proprio modo segreto e difficilissimo e faticosissimo di capire e di accostarsi alla creatività. 

Francesco “Citto” Maselli su Gianni Di Venanzo

Tra il 1955 e il 1960 Gianni Di Venanzo collabora con registi del calibro di Antonio Pietrangeli, Valerio Zurlini, Vittorio Gassman al suo esordio alla regia, Mario Camerini e instaura o consolida un forte sodalizio artistico con due grandi autori che si affermarono definitivamente la decade successiva: Michelangelo Antonioni (con cui gira nel 1957 Il grido) e Francesco Rosi (con cui gira La sfida nel 1958). 

Nel 1961 Gianni Di Venanzo è direttore della fotografia de La notte di Antonioni con Marcello Mastroianni e Monica Vitti.

Questo è forse il film in cui le potenzialità del bianco e nero vengono esaltate al massimo e la fotografia di Di Venanzo raggiunge qui una delle prime vette della sua carriera e confeziona un film iconico con delle inquadrature diventate leggenda, un film senza tempo; un vero e proprio capolavoro.

Il Deserto dei Tartari
Il Deserto dei Tartari
Il Deserto dei Tartari

Frame da La notte di Michelangelo Antonioni

Caro Gianni, quando misuravi la luce sui visi, i paesaggi, sulle cose era sempre giusta perché eri tu a inventarla, la tua luce che era la tua sensibilità raccontava lo stato d’animo, una situazione, il dramma, una commedia, la felicità, la disperazione, il riso e il pianto; tutto. La tua luce in La notte di Michelangelo Antonioni era quasi più delle parole e dava vitalità ai personaggi, ai luoghi e alle emozioni.

Lettera di Monica Vitti. Un ricordo di Gianni Di Venanzo

Gli anni ‘60, inaugurati con il capolavoro di Antonioni, rappresenteranno il momento più alto della carriera di Gianni Di Venanzo. È in quel decennio infatti che viene consacrato definitivamente come un “barone del cinema italiano, uno dei principi della fotografia del cinema”. Tra il 1961 e il 1965 si consolidano i rapporti con i registi storici con cui avviò la sua carriera, come Carlo Lizzani, Michelangelo Antonioni, Francesco Rosi e Francesco Maselli con i quali firma rispettivamente la fotografia di Il carabiniere a cavallo (1961), L’eclisse (1962), Salvatore Giuliano e Gli indifferenti (1964) e inaugura una nuova e proficua collaborazione con un altro mostro sacro dell’epoca: Federico Fellini.

Il Deserto dei Tartari

Frame di Salvatore Giuliano di Francesco Rosi, film vincitore dell’Orso d’argento al miglior regista al Festival di Berlino nel 1962

Nel 1963 Federico Fellini volle Gianni Di Venanzo per la fotografia del suo film scritto in collaborazione con un altro abruzzese del cinema e della letteratura italiana: Ennio Flaiano.

(se ti sei perso l’articolo precedente, dedicato a Ennio Flaiano, puoi recuperarlo qui )

In genere l’impostazione anche fotografica di un film la dà il regista. […] Franco Rosi, per esempio, mi mostra addirittura delle fotografie per indicarmi quello che vuole che io inquadri e il modo. Con Fellini le cose sono un pochino più difficili. […]
Dubbi da principio ne ho avuti molti. Dopo la prima settimana volevo abbandonare. Cominciammo infatti a girare in un ambiente di interni. Il risultato non fu quello che Fellini voleva, e la cosa mi mise in crisi, ma Fellini fu estremamente comprensivo. […] Mi ha aiutato a rivedere certe mie posizioni; io eseguendo esattamente quello che lui mi chiedeva, ho ottenuto un risultato che credo lo abbia soddisfatto.
       

Gianni Di Venanzo in “Bianco e nero”, n.4 aprile 1963

A seguito di questa esperienza, Federico Fellini è desideroso di collaborare nuovamente con Di Venanzo e gli offre di dirigere la fotografia del suo film successivo Giulietta degli spiriti nel 1965. È uno dei pochi film in cui il direttore della fotografia teramano sperimenta il colore. 

Maestro del bianco e nero, Di Venanzo ebbe poche occasioni di cimentarsi con il colore perché morì poco dopo la fine della realizzazione del film all’età di 46 anni. 

Per Giulietta degli spiriti gli venne assegnato nel 1966 un Nastro d’Argento alla fotografia alla memoria che si aggiunse ai precedenti quattro vinti per: Il grido (1958), I magliari (1960), Salvatore Giuliano (1960) e (1964), il che rende Gianni Di Venanzo uno tra i direttori delle fotografia italiani più premiati di sempre.

Di Venanzo era straordinario anche quando si girava in condizioni difficilissime, come fu il caso per esempio di La legge è legge. È morto stupidamente, perché si trascurava, non si curava. “Ho mal di fegato” diceva, e tanto ha fatto che è morto. Bastava che per un anno si curasse bene!

Gianni Di Venanzo in “Bianco e nero”, n.4 aprile 1963

Il Deserto dei Tartari

Frame tratto da Giulietta degli Spiriti di Federico Fellini

Anche se la famiglia e il mio riposo fisico ne risentono, non posso fermarmi, se mi fermo mi sento male. La mia vita è questo lavoro, il mio riposo è lavorare.

Gianni Di Venanzo

Samuele Coccione

Esule per necessità, ma soprattutto per masochismo.
Amo il cinema, i libri e la noia.
Scrivo di cinema abruzzese da quando era “figo”
essere costretti a rimanere in casa.
Vivo a Milano, ma sogno lo smart working con i piedi in ammollo sul Tirino.