Il deserto dei Tartari

L’Abruzzo nel film di Valerio Zurlini

28

GENNAIO 2022

Dino Buzzati
Forme
Il deserto dei Tartari

Nel sogno c’è sempre qualcosa di assurdo e confuso, non ci si libera mai della vaga sensazione ch’è tutto falso, che un bel momento ci si dovrà svegliare.
Dino Buzzati – Il deserto dei Tartari

New York, Toronto, Berlino, Londra, Varsavia, Monaco, Dublino… Sono numerosissime le iniziative che in tutto il mondo ricorderanno Dino Buzzati, il grande autore bellunese scomparso il 28 gennaio 1972. In occasione di questo importante cinquantenario abbiamo voluto recuperare testimonianze e ricordi di quando un piccolo scorcio d’Abruzzo si trasformò in set per l’adattamento cinematografico del suo romanzo più conosciuto: Il deserto dei Tartari.

Lo scorrere del tempo, l’attesa infinita, un avversario sconosciuto eppure temibilissimo.

I mondi che Buzzati è riuscito a creare giocando con le paure e le aspirazioni degli esseri umani hanno catturato fin da subito l’immaginazione dei suoi lettori. La storia narrata ne Il deserto dei Tartari, d’altronde, aveva conquistato nel corso del tempo l’interesse di molti registi, tra cui Michelangelo Antonioni e Miklós Jancsó

La storia è ambientata in una sospensione temporale che fonde ispirazione onirica e memorie storiche di guerre lontane. Protagonista è il giovane ufficiale Giovanni Drogo, da poco arruolato come sottotenente di un esercito imperiale con l’ordine di raggiungere la fortezza Bastiani (Bastiano nel film) per sorvegliare la frontiera che separa la nazione dai temutissimi e sconosciuti Tartari

La routine all’interno della fortezza è scandita da una severa disciplina militare: ogni giorno trascorre nell’attesa e nella preparazione che si compia lo scontro fatale con il nemico. La mobilitazione costante è giustificata dal momento eroico che si andrà a compiere durante la battaglia.

Battaglia che, però, non arriverà mai.

Per girare alcune scene venne scelto il piccolo borgo di Forme, in provincia dell’Aquila, poco distante da uno dei gioielli archeologici dell’Abruzzo,
Alba Fucens

Il Deserto dei Tartari
Il Deserto dei Tartari
Il Deserto dei Tartari

Il deserto dei Tartari (1976)

Alcune delle scene di caccia girate a Forme (AQ)

“Per girare alcune scene venne scelto il piccolo borgo di Forme, in provincia dell’Aquila, poco distante da uno dei gioielli archeologici dell’Abruzzo, Alba Fucens. Grazie ai ricordi di uno degli abitanti del borgo, Francesco Placidi, all’epoca bambino, possiamo ritrovare l’atmosfera di quei trenta giorni di riprese.

Il paesaggio, racconta Placidi, si prestava perfettamente per ambientare una scena di caccia prevista nella sceneggiatura: il territorio era assolutamente incontaminato, ricco di alberi di mandorle, con la possibilità di realizzare lunghe riprese senza interruzioni di elementi artificiali come pali o tralicci.

Il borgo di Forme aveva già ospitato una grande produzione cinematografica, quando, nel 1966, John Huston girò alcune scene de La Bibbia. In quelle settimane l’entroterra marsicano visse con grande trepidazione l’arrivo di eccezionali star del cinema mondiale, come Ava Gardner e George C. Scott

il deserto dei tartari

Il deserto dei Tartari

La produzione de Il deserto dei Tartari individuò nel suggestivo canale in località Terranera, ai piedi del massiccio montuoso del Sirente-Velino, la location perfetta per girare la scena della caccia al cinghiale. Per preparare il terreno alla corsa dei cavalli furono impiegati tantissimi giovani del luogo, in modo da “spretare” (rimuovere le pietre) la vallata. Cesidio Venanzi, che all’epoca del film aveva quindici anni, ricorda benissimo il coinvolgimento dei ragazzi durante le riprese: “La scena alla fine uscì solamente l’ultimo giorno, anche perché Zurlini era un po’ spazientito. Di cinghiali ce ne erano 12 e dovevano attraversare questo percorso già deciso; mi ricordo che io e altri ragazzi del posto ci mettevamo alla fine e dovevamo far in modo che questi cinghiali andassero dove si trovavano i cacciatori. Erano altri tempi. Questo per dire che la mattina si girava la scena, e la sera ci ritrovavamo tutti insieme al ristorante a mangiare questo cinghiale!”

Il legame tra il paese e la troupe fu intenso e di grande coinvolgimento. Grazie ai racconti di Enrico Cofini sappiamo che il cast e tutti gli operatori poterono contare sulla proverbiale ospitalità abruzzese – alloggiando in paese nel ristorante/albergo La Magnola – e sui cestini preparati da sua madre, la signora Marina Caiola, che cucinava paste al sugo, polli e arrosti in grande quantità (tra i 250 e i 300 pasti al giorno!).

Bruno Ricci, segretario di produzione del film, strinse un forte legame con la famiglia di Placidi, tornando spesso a trovare il padre nei luoghi incantati che avevano fatto da sfondo al film. Giuliano Gemma, racconta Francesco, aveva una grande passione per i cavalli, tanto da aver provveduto lui stesso alla fornitura degli animali per molte produzioni cinematografiche, inclusa quella di Zurlini.

Nel film, infatti, Gemma cavalcava proprio un suo destriero, uno dei più affidabili da utilizzare in scena. Purtroppo un brutto incidente coinvolse l’attore durante un ciak: nella scena dell’inseguimento al cinghiale, saltando un valloncino, la lancia scagliata da Gemma finì per trafiggere il cavallo. Stando ai ricordi di Cofini, fu suo nonno a intervenire per soccorrere il cavallo, ricorrendo alla sua esperienza in montagna. Di questo gesto l’attore fu sempre riconoscente alla famiglia Cofini e tornò spesso a fare visita in paese.

Il Deserto dei Tartari

Il deserto dei Tartari (1976)

La corsa a cavallo girata a Forme (AQ)

Il deserto dei Tartari sarebbe rimasto l’ultimo film di Valerio Zurlini: negli ultimi anni il regista si dedicò all’insegnamento al Centro Sperimentale di Cinematografia e alla direzione del doppiaggio di film stranieri. Il film, noto anche per la colonna sonora firmata da Ennio Morricone, vinse ben due David di Donatello nel 1977 per miglior film e miglior regia (ex aequo con Un borghese piccolo piccolo) e il Nastro d’Argento come regista per il miglior film. 

“Il deserto dei Tartari è dentro ognuno di noi,” conclude Francesco. Come nel racconto di Buzzati, così ancora oggi molti luoghi, apparentemente isolati nel cuore di territori dall’enorme valore storico e naturalistico, restano in attesa di un nemico o di un miracolo. Se da una parte le atmosfere del film di Zurlini sembrano suggerire un’assenza di animo, dall’altra il racconto è assolutamente a contatto con le fragilità e le paure degli uomini. 

In questo senso, aggiunge Francesco, l’esperienza vissuta con il Garofano Rosso Film Festival lo scorso settembre tra i vicoli del borgo di Forme è stata una vera e propria riscossa; ha illuminato di colore e regalato un abbraccio a tutta una comunità che si è riscoperta unita e partecipativa per questo nuovo evento culturale dal taglio internazionale.

Il cinema è stato in grado di aprire nuovi mondi attraverso l’arte. E l’omaggio a Dino Buzzati ci sembra il modo migliore per celebrare questa riscossa gioiosa animata nel cuore pulsante di un piccolo luogo ricco di storie.