30 anni di Parenti Serpenti

Intervista a Carmine Amoroso

24

DICEMBRE 2021

Sulmona
Lanciano
Mario Monicelli
Natale

Parenti Serpenti ha 30 anni, ma non li dimostra.
Il film, diretto da Mario Monicelli e uscito nella sale nel 1992, è il ritratto a colori sgargianti della borghesia “piccola piccola” raccontata nel pieno delle vacanze di Natale.

La grande tavolata dei parenti, teatro prediletto della messinscena familiare, si trasforma presto in una trincea: l’ipocrisia di vite apparentemente normali e tranquille viene rapidamente smascherata per far posto a un vortice di rancore mai sepolto. Il corso di Sulmona, ingombro di cappotti, convenevoli e buste dei regali, è rappresentativo della provincia italiana che affolla i negozi del centro durante le festività. 

parenti serpenti mario monicelli cinema abruzzo cinemabruzzo carmine amoroso

Parenti Serpenti (1992)

Per gentile concessione di Carmine Amoroso

Siamo a casa dei genitori di Lina, Alfredo, Alessandro e Milena (Marina Confalone, Alessandro Haber, Eugenio Masciari e Monica Scattini), quattro fratelli apparentemente molto uniti tra loro. L’anziana madre, poco dopo aver servito la cena, comunica a tutti loro e ai rispettivi familiari la necessità che i figli si prendano cura di lei e del marito. Gli anni iniziano a pesare, il papà comincia a perdere qualche rotella e gli acciacchi non mancano. Ma c’è un problema: l’ospizio che hanno visitato, credendo di poter provvedere autonomamente a una sistemazione, li ha spaventati e intristiti; è necessario, dunque, che i quattro si mettano d’accordo per accudirli in maniera più adeguata. Ospitandoli, perché no, da uno di loro. La notizia genera uno scaricabarile perfido e grottesco, in cui ciascuno dei familiari tira fuori il peggio di sé, fino ad arrivare all’epilogo più violento.

Nel film il racconto è affidato allo sguardo aperto di un bambino, capace di mettere a nudo la violenza di un mondo adulto che non vuole saperne di crescere. È lo sguardo di Carmine Amoroso, scrittore e regista originario di Lanciano, autore del soggetto e della sceneggiatura di Parenti Serpenti. Lo abbiamo raggiunto, proprio in concomitanza delle festività, per raccontarci il percorso che ha portato alla nascita del soggetto e per raccogliere le sue riflessioni sullo stato di salute del cinema in Abruzzo.

Come è nata l’idea del soggetto di Parenti Serpenti?

La mia idea iniziale, da cinico e un po’ cattivo quale sono, era quella di raccontare una maniera dolce, senza atti brutali, per sterminare la propria famiglia. In quegli anni, nei primi anni ’90, era salito alla ribalta delle cronache lo scandalo del vino al metanolo, che in Italia aveva causato diverse vittime. Mi sembrò un metodo fantastico per assassinare qualcuno senza lasciare traccia: una versione originalissima del delitto perfetto. Ho deciso così di inserirlo nel mio contesto familiare, nel mio vissuto. La prima versione di Parenti Serpenti, infatti, è ambientata nella casa cantoniera in cui abitavano i miei nonni, a Lanciano, dove la mia famiglia si riuniva abitualmente per passare il Natale.

Il racconto arrivò finalista ad un premio per soggetti, nel frattempo io avevo appena iniziato a lavorare come aiuto regista a Roma; il mio padrino in questo concorso era Luigi De Laurentiis, che apprezzò molto il soggetto e mi disse: «L’unico che potrebbe fare questo film è Monicelli».

Un giorno mi capitò davanti un cartellone pubblicitario di qualche compagnia di forniture che diceva: “Il Metano ti dà una mano”

Come sei riuscito a far arrivare il soggetto a Monicelli?

È nato tutto in maniera molto semplice… credo che il mondo del cinema in quegli anni fosse veramente più semplice. 

Io stavo lavorando come aiuto a Cinecittà, in un serial che si chiamava I ragazzi della 3c, e un giorno incontrai Monicelli al bar, mi feci forza e lo avvicinai: «De Laurentiis mi ha detto che sei l’unico che potrebbe girare il mio soggetto». 

Gli feci avere una copia e dopo un paio di settimane, quando lo trovai di nuovo al bar, mi venne incontro dicendomi che avrebbe voluto proporre il soggetto ad un produttore. Lo diede a Di Clemente, un produttore di quegli anni, che mi fece subito un contratto per scrivere la sceneggiatura. Io ero felicissimo. 

Monicelli lavorava sempre con Suso Cecchi D’Amico, che mi affiancò per fare in modo che tutti gli elementi della sceneggiatura fossero congeniali a lui.

Devo dire di essere stato molto fortunato, perché ad un certo punto proprio Suso ebbe la prontezza di capire che il finale che avevo scritto con il vino al metanolo non sarebbe stato comprensibile ad un pubblico più internazionale se il film avesse avuto successo. Mi mise un po’ in crisi, perché inizialmente non riuscivo a trovare una soluzione altrettanto efficace per il mio delitto perfetto. Un giorno però mi capitò davanti un cartellone pubblicitario di qualche compagnia di forniture che diceva “Il Metano ti dà una mano”: da lì la soluzione della stufa a gas, di cui tutti furono entusiasti.

Parenti Serpenti (1992)

Per gentile concessione di Carmine Amoroso

Come hai vissuto la collaborazione con Monicelli?

Tra me e Mario si era creato un bel rapporto. Lui era già anziano e probabilmente vedeva in me qualcosa, gli interessava molto il mio mondo interiore, mi stimava molto. 

Aveva un’idea molto personale della storia, e io ovviamente non avrei mai osato contraddirlo. Un giorno mi chiamò pieno di entusiasmo dicendomi che aveva individuato il tono del film, che è una cosa molto importante: doveva essere un film grottesco, quello era il tono adeguato. Per questo scelse degli attori che all’epoca non erano molto famosi. Erano molto bravi, ma non conosciutissimi. Io ovviamente per il mio primo film sognavo le grandi star… avevo pensato a grandi nomi, come ad esempio la Vukotic proprio nei panni di Milena. Lui invece decise di prescindere dai nomi importanti, che era sicuramente una scelta coraggiosa, fuori dagli schemi.

Ulteriore mia delusione fu la scelta di fare un film senza colonna sonora, perché lui amava il cinema senza musica, il che è paradossale… secondo lui la musica era un elemento estraneo al film. Pochi si sono focalizzati su questo aspetto, eppure nel film ci sono solo esclusivamente musiche diegetiche, a parte Vivere interpretata da Jannacci sui titoli di coda.

Anche la decisione dell’ambientazione del film è frutto di uno scambio proficuo. Io avevo ambientato il film a Lanciano, la mia città. Lui era sicuramente curioso, e andò a visitare Lanciano senza di me, per evitare magari che io potessi influenzarlo. Non gli sembrò però cinematograficamente interessante, perché l’aria era troppo cittadina e non si accordava bene al mood del film. Allora gli consigliai di andare a Sulmona, perché mi sembrava più adatta, con un’atmosfera più raccolta. Infatti lui mi chiamò e mi disse: «È perfetta».

Ho avuto forse inizialmente un po’ di difficoltà a rivedermi nel film e nei personaggi, perché avevo immaginato tutto in maniera differente. La cosa incredibile di Monicelli però era il profondissimo rispetto verso l’autore e la sua visione: io non ero presente tutti i giorni sul set, perciò lui mi chiamava tutte le volte per avvisarmi dei cambiamenti che aveva deciso di fare. Non avrebbe mai preso decisioni impattanti senza chiedermelo, e questa è una cosa che a distanza di anni mi emoziona moltissimo.

parenti serpenti mario monicelli cinema abruzzo cinemabruzzo carmine amoroso

Parenti Serpenti (1992)

Per gentile concessione di Carmine Amoroso

Quanto c’è di te e della tua abruzzesità nella famiglia di Parenti Serpenti?

C’è tutto. Io ho rappresentato il mio mondo, senza alcuna ambizione di universalità. 

Alcuni familiari mi hanno tolto il saluto, si sono incazzati.

Uno dei passaggi fondamentali della storia della mia famiglia, che ritroviamo in qualche modo anche nel film, è la decisione di mettere mia nonna in una casa di riposo. 

Nessuno dei miei familiari aveva fino a quel momento fatto veramente i conti con quella decisione, che in qualche maniera era un modo di liberarsi, di emanciparsi dai propri genitori. Trovarsi di fronte alla realtà spiattellata in maniera cruda non è stato facile.

Questo è stato secondo me l’elemento che ha permesso la riuscita del film: ho cercato di raccontare l’inconscio, facendo in modo che il pubblico potesse identificarsi. Il film ha ottenuto molto successo anche a livello internazionale, soprattutto nei paesi sudamericani.

Quello che volevo fare era semplicemente raccontare la mia verità, un pezzo della mia vita. Come per il comò intarsiato di nonna Lisetta, il primo ricordo d’infanzia di mia madre, che esiste veramente e si trova a casa mia. I miei sentimenti però sono un po’ contrastanti… mi dà quasi fastidio, non lo sopporto. Vorrei spostarlo, ma ancora non ci riesco… ormai fa parte della storia.

 

Non potevo semplicemente dire ai miei genitori: “Vado a Roma a fare il cinema”, perché sarebbe stata una cosa totalmente fuori dall’ordinario.

Come hai vissuto l’essere un cineasta in terra d’Abruzzo, che difficoltà hai incontrato lungo il percorso e come hai deciso di intraprendere questa strada?

La mia relazione con l’Abruzzo è di fuga, perché era l’unica possibilità. C’è anche da dire che vengo da un mondo rurale, un mondo dove il cinema non era un mestiere. Non potevo semplicemente dire ai miei genitori: “Vado a Roma a fare il cinema”, perché sarebbe stata una cosa totalmente fuori dall’ordinario. Io sono andato a Roma per fare tutt’altro: ho iniziato facendo Medicina, per poi capire che mi prendeva talmente tanto tempo da non poter poi dedicarmi al cinema. Per questo ho scelto di iscrivermi a Lettere, una facoltà che mi permetteva di portare avanti entrambe le strade. 

Io non potevo rimanere in Abruzzo, soprattutto all’epoca. Ora come ora magari le cose sono cambiate. Il progetto di CinemAbruzzo riempie questo vuoto siderale della cinematografia nella nostra regione. Innanzitutto dal punto di vista politico e istituzionale. È una cosa assurda, data soprattutto la vicinanza a Roma e la massiva presenza di territori vergini da sfruttare. Ad esempio, anche quando ho girato il mio primo film Come mi vuoi, volevo assolutamente girare alcune sequenze in Abruzzo ma non ho ricevuto nessun tipo di supporto. Non c’è mai stato un collegamento, né culturale né politico, con il cinema; le istituzioni abruzzesi non se ne sono mai interessate e non hanno mai cercato di fare in modo che chi volesse intraprendere questa strada potesse trovare un appoggio. 

E questa situazione si riversa in quelle persone che vogliono fare questo lavoro: in Abruzzo, fino ad ora, non ci sono figure cinematografiche di rilievo, e questo perché non si è mai provato a crearle; abbiamo fame di contenuti e bisogna creare professionisti del cinema. 

C’è una potenzialità enorme e bisogna capire come svilupparla. Sotto questo punto di vista siamo una terra ancora tutta da esplorare.