L’orizzonte degli eventi

Un inno alla Terra

 

22

APRILE 2024

Valerio Mastandrea
Daniele Vicari
INFN

Batterci per i diritti del pianeta ci sembra oggi una cosa normalissima, quasi scontata. Viviamo in un’epoca in cui per fortuna a far storcere il naso è chi sul tema della sostenibilità ambientale va controcorrente; il cosiddetto scetticismo climatico, ovvero chi cerca di ridimensionare il problema o derubricarlo a capriccio di una certa borghesia annoiata perché spesso ha interessi personali opposti a quelli della crescita green.

Ciò che oggi ci sembra un dato di fatto, una consapevolezza che caratterizza appieno questo periodo storico, non è sempre stata una certezza incrollabile, ma è stato frutto di una battaglia di sensibilizzazione importante che ha radici storiche lontane e che ancora continua a combattersi in prima linea. 

È nel settembre del 1962 infatti, che la biologa statunitense Rachel Carson pubblicò un libro rivoluzionario intitolato La primavera silenziosa.
Il libro conteneva un’analisi dettagliata degli effetti dannosi dei pesticidi, in particolare del DDT, sull’ambiente e sulla salute umana. 

Portando numerosi esempi e fonti alla sua trattazione, la Carson mise per la prima volta in relazione diretta l’uso dei pesticidi chimici sulle colture, l’inspiegabile moria di massa di insetti, uccelli e animali selvatici, il conseguente declino della biodiversità e l’aumento di malattie gravi negli umani come il cancro o il tumore. 

Il titolo del libro è emblematico e centrò in pieno la sensibilità dei lettori dell’epoca. La primavera silenziosa infatti è quella causata dalla morte di tutte le creature che rendevano la primavera ricca di suoni naturali come appunto gli insetti e gli uccelli.

Ad oggi l’opera è considerata come uno dei primi testi ad aver dato l’avvio al movimento ambientalista, che probabilmente trova in questo decennio più che in altri un ampio coinvolgimento di massa. Tutto però iniziò alla fine degli anni Sessanta, in cui si misero in discussione le pratiche agricole e industriali dominanti e si tentò di sensibilizzare l’opinione pubblica sui problemi ambientali. Il libro di Rachel Carson fu preso sin da subito come una sorta di manifesto del movimento ambientalista, ma ci vollero anni prima che il dibattito arrivasse davvero alle istituzioni.

È nel 1969 che, durante una conferenza dell’UNESCO, si propose di intitolare una giornata alla Terra e alla sua salvaguardia, ma fu solo il 22 aprile del 1970, quando 20 milioni di cittadini americani, coordinati dall’attivista e ambientalista Denis Hayes con l’appoggio del senatore democratico Gaylord Nelson, si mobilitarono in una storica manifestazione a difesa del nostro pianeta che sancì la data che viene considerata come la Giornata mondiale della Terra (Earth Day).

il deserto dei tartari

La folla ascolta gli oratori a Union Square, mentre un uomo pulisce la statua
© Associated Press (22 aprile, 1970)

il deserto dei tartari

Uno studente con una maschera antigas “annusa” un fiore di magnolia nel City Hall Park di New York
© Associated Press (22 aprile, 1970)

Oggi la Giornata della Terra è un evento annuale che si tiene il 22 aprile in più di 190 paesi nel mondo per celebrare e sensibilizzare l’opinione pubblica sull’importanza della protezione dell’ambiente e della promozione della sostenibilità ambientale.

Ogni anno milioni di persone partecipano a varie attività volte alla sensibilizzazione collettiva su varie  questioni ambientali, come la pulizia di spiagge e parchi, la piantumazione di alberi e la promozione dell’energia rinnovabile.

Anche per Cinemabruzzo la salvaguardia dell’ambiente e del territorio è un tema imprescindibile. Da anni infatti viene organizzato il festival Cinema e Ambiente Avezzano, festival cinematografico dedicato proprio ad una riflessione sullo sviluppo sostenibile e il Cinema Abruzzo Campus, una residenza artistica interamente dedicata al cinema “green”. Cinemabruzzo si batte affinché questo tema sia sempre sotto gli occhi di tutti, soprattutto in una regione come l’Abruzzo, che fa della natura e del patrimonio paesaggistico il proprio vessillo. 

Nonostante per anni l’Abruzzo sia stato definito il polmone verde d’Europa vista la presenza del Parco nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise che con i suoi 50.000 ettari è certamente uno dei parchi naturali più estesi d’Europa, secondo le recenti analisi condotte da Italy for Climate tramite CIRO (Climate Indicators for Italian RegiOns) si nota che la regione Abruzzo si attesta intorno alla media italiana in quasi tutti gli indicatori presi in esame.

Di sicuro è un risultato che fa ben sperare, ma l’attività di sensibilizzazione degli abruzzesi su queste tematiche deve necessariamente continuare e ci si auspica che l’Abruzzo possa diventare una delle regioni più impegnate nella divulgazione dei temi green e nella messa a terra di soluzioni di sostenibilità ambientale e di riduzioni in termini di emissioni.

il deserto dei tartari

Il “Polmone verde d’Europa”  visto dallo spazio in questa immagine del satellite Envisat dell’ESA acquisita il 6 giugno 2010 © ESA

il deserto dei tartari

Grafico generato da Italy4Climate che analizza la regione Abruzzo rispetto alla media delle altre regioni.
I parametri presi in esame sono molteplici: dalle Emissioni di CO2, all’utilizzo di fonti di energia rinnovabile, consumi di energia pro capite, emissioni di gas serra per le industrie ed altri parametri consultabili qui
© Italy for Climate

Anche il cinema ovviamente ha un legame imprescindibile con la terra, soprattutto il cinema abruzzese che da sempre ha visto come principale protagonista delle storie ambientate o prodotte in Abruzzo, proprio la terra, l’ambiente e in particolare le montagne.
È indubbio infatti che la maggioranza delle pellicole girate sul territorio abruzzese abbiano coinvolto prevalentemente zone che fanno parte del patrimonio paesaggistico come il Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise o Campo Imperatore e i territori circostanti.
Questo fa dell’ambiente e del territorio abruzzese il principale asset utilizzabile per promuovere il suo cinema; un ambiente ricco di location suggestive che tanto sono state valorizzate in passato dalla cinematografia italiana.

Uno dei film abruzzesi che meglio sfrutta la terra e la natura all’interno della propria narrazione è L’orizzonte degli eventi di Daniele Vicari e in occasione di questa giornata vogliamo riportare a galla una piccola perla cinematografica che in pochi conoscono.

il deserto dei tartari

I Laboratori Nazionali di ricerca del Gran Sasso, visti dall’esterno.
Fondati nel 1985 sono appartenenti all’Istituto nazionale di fisica nucleare e hanno la propria sede ad Assergi, in provincia dell’Aquila.

Max Flamini (Valerio Mastandrea) è un giovane ricercatore che lavora nei laboratori dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (INFN) del Gran Sasso (AQ). Siamo agli inizi degli anni 2000, nel pieno fervore della ricerca scientifica e della globalizzazione e la vita in laboratorio è fatta anche di competizione con gli altri Istituti del mondo, in gara per accreditarsi le ultime scoperte sul comportamento della materia e dell’antimateria.

Max dopo tanti anni di lavoro su progetti di ricerca in fisica delle particelle, ha finalmente l’occasione per diventare direttore dell’Istituto quando il suo superiore viene trasferito al CERN di Ginevra. In questa delicata fase della propria vita viene a mancare improvvisamente suo padre, ex pregiudicato, e Max viene coinvolto in un delicato contenzioso familiare legato all’eredità paterna che lui cerca in tutti i modi di ignorare.

Dopo il passaggio di consegne sul progetto di ricerca, il team comincia a lavorare duramente ad un esperimento sui neutrini con lo scopo di ottenere credito presso la comunità scientifica, ma dei risultati innovativi, pragmatici e chiaramente condivisibili tardano ad arrivare. 

Il clima in laboratorio inizia a farsi teso, anche perché ora che Max è a capo delle ricerche rivela un carattere duro, intransigente e autoritario, ma quando scopre che la sua ricerca mostra degli errori metodologici iniziano a farsi strada in lui dubbi, angosce e paure.
La strada intrapresa dalla sua équipe sembra non portare da nessuna parte e a quel punto decide di falsificare i dati della ricerca per provare a salvarla.

RICERCATRICE: Ormai è un po’ che  penso che questa vita forse non fa per me. Bisogna rinunciare proprio a tutto e io non so se me la sento. La immaginavo diversa la ricerca, più emozionante e invece siamo solo le rotelle di un ingranaggio che va sempre più veloce.

MAX: Per arrivare primi bisogna correre.

Dopo essere stato scoperto a falsificare i dati da un membro della sua équipe, Max viene sospeso dall’incarico e viene costretto alle dimissioni. Sconvolto e distrutto dall’accaduto, Max guida all’impazzata per le strade montane di Campo Imperatore e, con l’intento di farla finita, esce volontariamente di strada volando giù da un dirupo.

Il mattino seguente viene estratto ancora vivo dalle lamiere accartocciate della sua auto. È Bajram, un giovane pastore albanese a salvarlo e lo conduce all’interno della sua abitazione sul Gran Sasso.

Ferito e solo tra i monti, Max è costretto ad adattarsi alla vita in montagna e a ricostruire un rapporto con se stesso che sembrava ormai inevitabilmente compromesso.
Inizia così un lungo viaggio tra le pendici del Gran Sasso che lo porta a riscoprire il rapporto primordiale che l’uomo ha con la terra.

il deserto dei tartari
il deserto dei tartari
il deserto dei tartari
il deserto dei tartari

Sequenze tratte dal film L’orizzonte degli eventi di Daniele Vicari (2005)
© Fandango, Medusa Film

Il film è stato interamente girato in Abruzzo, in particolare sul massiccio del Gran Sasso, sull’altopiano di Campo Imperatore e per alcune scene conclusive anche nella città dell’Aquila. Molte delle scene sono state ambientate realmente nei laboratori dell’INFN (oggi Laboratori nazionali del Gran Sasso, LNGS)

L’opera di Vicari è emblematica perché mette a confronto la vita gerarchica, cupa, metallica del laboratorio, fatta di tecnologia, di macchinari, di rigore scientifico, di sacrificio personale e burocrazia, con quella naturale del pastore, fatta di orari scanditi dal sole, duro lavoro svincolato dal denaro, rapporto costante con la terra e con gli elementi in cui è ancora viva l’esperienza primordiale dI quel Homo Homini Lupus coniato da Plauto e ripreso da Hobbes nel De Cive.

Oltre a questa contrapposizione evidente di ambienti e di modi di vivere e  intendere la vita e i rapporti con l’altro, la pellicola inevitabilmente contrappone anche due moralità distinte: quella dello scienziato che vive seguendo una legge matematica di costo-opportunità e quella del pastore, un uomo di montagna, che vive secondo la propria concezione del giusto.

In questo dramma dal finale amaro, l’Abruzzo è protagonista assoluto e ne si coglie appieno la doppia natura, quella proiettata al futuro in cui scienziati provenienti da tutto il mondo si radunano in un laboratorio incastonato tra le montagne per studiare particelle subatomiche in grado di spiegare la materia e trovare soluzioni innovative per il futuro e l’altra parte, quella di un mondo al di sopra di tutto questo, che vive con regole incise sulla pietra granitica, in parte avulso dalle regole sociali, ma fedele a quelle delle ancestrali della terra. 

Samuele Coccione

Esule per necessità, ma soprattutto per masochismo.
Amo il cinema, i libri e la noia.
Scrivo di cinema abruzzese da quando era “figo”
essere costretti a rimanere in casa.
Vivo a Milano, ma sogno lo smart working con i piedi in ammollo sul Tirino.