Cristo fra i muratori
L’eredità abruzzese nel sogno americano
12
OTTOBRE 2023
Pietro Di Donato
Columbus Day
Il 12 ottobre, negli Stati Uniti si festeggia il Columbus Day; una festa nazionale celebrata formalmente per commemorare il viaggio di Cristoforo Colombo nelle Americhe. Le prime celebrazioni di questa data risalgono alla fine del XIX secolo e furono organizzate principalmente dalle comunità italo-americane per enfatizzare l’orgoglio per le loro radici e il loro contributo alla storia americana. Tra questi gruppi di emigrati, numerosissimi furono gli abruzzesi che contribuirono a scolpire il 12 ottobre nella storia degli Stati Uniti d’America, tra cui Vincent Massari, originario di Luco Dei Marsi e giunto in America nel 1915, proprio pochi giorni prima che il terremoto di Avezzano prima, e lo scoppio della Grande Guerra poi, trasformarono profondamente tutta l’Italia e in particolare il territorio della Marsica.
(La storia di Vincent è stata riscoperta e narrata puntualmente da Alessio De Stefano nel suo meraviglioso Vincent Massari. Cronache di un abruzzese d’America, edito da Radici Edizioni).
Queste celebrazioni, inizialmente organizzate in maniera spontanea e non strutturata, divennero la festa nazionale che oggi conosciamo solo nel 1937, quando il presidente Franklin Delano Roosevelt proclamò ufficialmente il 12 ottobre come il Columbus Day.
Ritratto di Cristoforo Colombo dipinto da Ridolfo Bigordi, detto Ghirlandaio. Questa immagine nel tempo si è affermata come il volto “ufficiale” del navigatore © Galata Museo del Mare di Genova.
Negli ultimi anni, il Columbus Day è diventato oggetto di controversie a causa delle questioni storiche legate a Cristoforo Colombo. Alcuni critici sottolineano che il suo arrivo in America portò a scontri e conflitti tra gli europei e le popolazioni indigene, con conseguenze tragiche per queste ultime. Messa però da parte per un momento la connotazione più storiografica legata alle origini degli Stati Uniti, il Columbus Day offre un’opportunità per riflettere sulla storia americana recente, sull’immigrazione e sull’identità culturale; un’occasione critica di autoanalisi che offre l’opportunità di ricordare le molteplici sfide affrontate dagli immigrati italiani nel corso della storia americana. Prima della sua istituzione infatti, gli italiani erano notoriamente oggetto di pregiudizio e discriminazione come raccontano numerosi romanzi dell’epoca.
Uno dei più grandi romanzi sul tema è Christ in Concrete (Cristo fra i muratori), che all’interno della sua narrazione attinge all’Abruzzo, alla cultura e alle tradizioni dei paesani del vastese. Pietro Di Donato infatti, autore della novella autobiografica pubblicata nel 1939, racconta del padre Geremio e della madre Annunziata, entrambi emigrati abruzzesi e della sua dura infanzia da italo-americano nei primi decenni del Novecento.
Audiolibro inciso su vinile del romanzo Christ in concrete, scritto da Pietro Di Donato e letto dal famosissimo attore Eli Wallach (Il buono, il brutto e il cattivo) © Da Vinci Records
Pietro Di Donato è nato il 3 aprile 1911 a West Hoboken, New Jersey da genitori immigrati italiani provenienti dall’Abruzzo, in particolare da Vasto e da Taranta Peligna. I suoi genitori facevano parte della comunità di immigrati vastesi che lavoravano come muratori, comunemente definiti bricklayer. Le difficoltà e le sfide affrontate dalla sua famiglia e dalla più ampia comunità italo-americana influenzarono profondamente i suoi interessi letterari, ma l’episodio che sconvolge la vita del giovane Di Donato fu la morte del padre, avvenuta sul lavoro nel 1923 e da cui Cristo fra i muratori abbondantemente prende ispirazione.
Il romanzo racconta infatti la storia di Geremio, un immigrato italiano muratore che perde la vita in un tragico incidente in un cantiere edile a New York City. Il romanzo approfondisce poi le estenuanti condizioni di lavoro e lo sfruttamento che subivano i lavoratori che si occupavano della costruzione dei palazzi e dei grattacieli americani.
“Sarà mai possibile respirare l’aria di Dio senza che venga inquinata dall’ombra della disoccupazione? E di dover far guadagnare il padrone? La paura del Lavoro e del Padrone? Ribellarsi significa solo perdere tutto di quel pochissimo che si possiede. Obbedire significa soffocare.”
Geremio, tratto da Cristo fra i muratori (1939)
Di Donato racconta inoltre, con estrema dovizia di particolari, le usanze, le ritualità, i bigottismi e le fatiche della comunità italo-americana. Il ricordo dell’Abruzzo, la loro terra natia lasciata inesorabilmente indietro, condisce con amarezza le vite di questi possenti operai del sogno americano.
Nel libro, dopo la prima parte dedicata al padre Geremio, l’autore inizia una lunga parte autobiografica dedicata al “Lavoro” che egli approccia per la prima volta all’età di dodici anni. Come suo padre, inizia come bricklayer in mezzo ai suoi compaesani e ci svela il retroscena dei patinati anni del boom americano, prima della crisi del 1929. Oltre ad un’accurata descrizione del mondo operaio, di cui egli si sentirà parte anche dopo la popolarità e il successo, nel libro Pietro Di Donato ci descrive i caseggiati brulicanti di immigrati (ebrei, scozzesi, irlandesi, italiani) e i duri anni che seguirono la crisi del 1929, tracciando un interessante e suggestivo quadro di quegli anni che hanno caratterizzato il picco di immigrazione dall’Italia e dall’Abruzzo.
Nella prima foto Geremio, detto Jerry Di Donato, padre di Pietro Di Donato, morto la sera del venerdì santo del 1923. Nella seconda fotografia Pietro Di Donato, intento a battere a macchina nel 1951. © Richard Di Donato (https://pietrodidonato.com/)
Cristo fra i muratori all’epoca della stampa ricevette numerosi elogi per la sua rappresentazione cruda e autentica della vita degli immigrati, seppur alcuni ne criticarono la difficoltà nella lingua e nello stile del romanzo (dove sono presenti numerosissimi italianismi e l’uso del dialetto). Tuttavia, il romanzo attirò subito notevole attenzione e acclamazione, affermandosi come un classico della letteratura operaia e in particolare di quella italo-americana. Purtroppo in quello stesso anno uscì anche Furore di John Steinbeck, dalle tematiche molto simili. Questo e la posizione da obiettore di coscienza che Pietro Di Donato assunse nel 1941 con l’entrata in guerra degli Stati Uniti nel secondo conflitto mondiale, contribuirono a derubricare in fretta la posizione e le tematiche messe in luce dall’autore e ad oscurarne il talento.
Nonostante questi sconvolgimenti, il libro dopo la guerra fu scritturato per una trasposizione cinematografica dal produttore Rod E. Geiger che durante gli anni della guerra fu particolarmente vicino al Neorealismo italiano, in quanto produttore in Italia di alcune opere di Rossellini come Paisà e Roma, Città Aperta. La produzione della pellicola fu molto travagliata poiché durante il maccartismo la vicinanza dello scrittore al partito comunista non fu ben vista. Successivamente il regista della pellicola Edward Dmytryk fu messo nella lista nera di Hollywood e l’intera produzione dagli Stati Uniti dovette spostarsi in Inghilterra.
Il film non fu un grande successo di botteghino poiché in USA fu proibita la distribuzione, ma ricevette recensioni positive della critica europea e gli attori protagonisti Sam Wanamaker e Lea Padovani furono premiati al Festival di Venezia del 1950. A seguito del ritorno di Dmytryk negli States fu arrestato e imprigionato per diciassette giorni.
Pietro Di Donato discute dello script con il protagonista della pellicola Sam Wanamaker © Richard Di Donato
Dopo il 1950 la carriera come scrittore di Di Donato riprese e nell’arco della sua vita produsse altri sette romanzi che non eguaglieranno mai il successo del suo primo romanzo autobiografico. Nel 2006 è uscito un documentario per la regia di Stefano Falco dal titolo Pietro di Donato, lo scrittore muratore che mostra nel dettaglio tutti i momenti della sua carriera come autore e il suo ritorno in Italia, in particolare nella città di Vasto, dove lo si vede percorrere le stesse strade che percorse suo padre Geremio prima di espatriare insieme a centinaia di paesani.
Quando ho chiesto a Richard, il secondogenito di Pietro Di Donato cosa il padre pensasse delle sue origini abruzzesi, lui mi ha condiviso questo:
Perché Paul Dadonna sapeva chi era: un’autorità autodidatta della propria stirpe contadina che dalla costa adriatica era risalita fino alle colline pedemontane raggiungendo una piccola città chiamata Taranta Peligna – e poi c’era quella storia intrigante che gli era stata raccontata dal sindaco di Taranta durante il suo primo viaggio in Italia. Raccontava del famoso poeta e drammaturgo italiano, un conte, un esteta, un aviatore, un dissoluto, un degenerato morale che promuoveva uno stile di vita libertino nelle sue opere letterarie. Era anche l’uomo che aveva guidato il proprio esercito alla conquista e all’occupazione di un’intera città del Regno d’Ungheria dopo la Guerra per la fine di tutte le guerre – l’uomo all’origine del fascismo […]. L’eredità storica attraeva particolarmente Paul. Gli piaceva l’idea che sia la scrittura che la seduzione fossero nel suo sangue. La sua miscela scura di sangue ellenico, italico, persiano e bizantino aveva circolato sulle rotte commerciali della guerra, riversandosi in tutti i porti del mondo antico.
Paul Dadonna, alter-ego di Pietro Di Donato. Frammento di un scritto di Richard Di Donato
Last brick of his life, recita la didascalia sul sito dedicato allo scrittore © Richard Di Donato
Per conoscere meglio la vita e le opere di questo abruzzese della letteratura mondiale vi invito a consultare il sito a lui dedicato, curato con amore e dovizia dal figlio Richard a cui va un grazie personale per averci concesso libero utilizzo del suo archivio personale.
Samuele Coccione
Esule per necessità, ma soprattutto per masochismo.
Amo il cinema, i libri e la noia.
Scrivo di cinema abruzzese da quando era “figo”
essere costretti a rimanere in casa.
Vivo a Milano, ma sogno lo smart working con i piedi in ammollo sul Tirino.